Conferenza Internazionale di Sofia - L'identità culturale del cinema bulgaro

TITOLO: Il pigmeo non si arrende

Data: 29/6/2000

 

Sofia - Oggi un Leva, moneta nazionale bulgara, vale mille lire o, se preferite un marco tedesco o cinquanta centesimi di dollaro. A Sofia un litro di latte costa un Leva, un chilo di pane cinquanta centesimi, poco più di uno di mele. A fronte di queste cifre c'è un salario medio che le statistiche ufficiali indicano in 260 Leva. E' la paga di un insegnante universitario o di un operaio specializzato, qui, infatti, l'equiparazione fra lavoro manuale e intellettuale è un retaggio del regime socialista molto radicato. Tuttavia ci sono moltissimi mestieri per i quali la regola è una paga di 100, 120 Leva il mese. Una situazione economica pesantissima che ha spinto quasi un milione di bulgari, su una popolazione di una decina di milioni, sulla strada dell'emigrazione. Mesi or sono il governo di centro - destra ha esordito con provvedimenti eclatanti. Il più clamoroso è stata la distruzione del mausoleo che custodiva, ad imitazione di quello leniniano di Mosca, la salma imbalsamata di Gheorghi Domitrov, il rivoluzionario che sfidò i giudici nazisti durante il celebre processo di Lipsia per l'incendio del Reichstag. Su quello stesso spazio, collocato in pieno centro cittadino, è stato installato, in un primo tempo, un Luna Park, mentre oggi c'è un anonimo "catino" di pietra, vaga imitazione di un anfiteatro greco. La norma che ha reso illegittimi tutti gli atti pubblici, compiuti dopo la presa del potere del partito comunista, è un altro esempio di legislazione spensierata. In questo modo sono stati annullate non solo le decisioni politiche, ma anche i normali atti amministrativi come le registrazioni di nascita, di morte e di matrimonio. Un farsa cui si è tentato di mettere riparo con leggi successive, il cui risultato è stato quello di ingarbugliare ancor più la matassa.

In queste condizioni non c'è da stupirsi se il cinema bulgaro, per decenni quantitativamente e qualitativamente fiorente, sia in una stato d'agonia. Sino alla caduta del regime "realsocialista" si realizzavano fra i venti e i venticinque film l'anno. Una produzione consistente, se paragonata alle dimensioni del paese e totalmente finanziata dallo stato. Un cinema economicamente "di regime", al cui interno hanno trovato spazio autori e tendenze tutt'altro che teneri con il Partito e le sue diramazioni. E' del 1973, per esempio, l'uscita de "Il censimento delle lepri di Garenna" con cui Eduard Zahariev firma una feroce critica della corruzione nella burocrazia "socialista". La storia è quella di due funzionari di partito, inviati a contare i leprotti che vivono nei boschi di una certa regione. La loro presenza preoccupa i paesani, impegnati nella lotta quotidiana per mettere assieme pranzo e cena. Tuttavia, i due cerberi saranno presto ammansiti da doni e abbondanti libagioni. In questo modo tutto ritorna come prima e la vita va avanti. A quel film il regista fece seguire, nel 1975, "Zona di villini", ove ad essere fustigati erano gli approfittatori disposti a tutto, anche a rubare i beni pubblici, pur di acquisire uno status piccolo - borghese. Il caso di Eduard Zahariev non è unico. Il suo nome è solo il primo di una lista di autori insofferenti alla corruzione e all'oppressione, di cui si nutriva il sistema. 

All'inizio degli anni novanta anche qui ci fu un cambio d'indirizzo, con un'irresistibile voglia di privatizzazioni e liberismo selvaggio. Le strutture pubbliche furono abbandonate a se stesse o cedute per pochi milioni. Grazie a questo clima la produzione cinematografica si è quasi estinta, tanto che oggi si portano a termine, a malapena, due o tre film a stagione. Per l'anno in corso, anzi, è previsto il completamento di due progetti vecchi di anni, ma nessuna nuova iniziativa. Un deserto in cui annegano i circa cinque miliardi di lire, stanziati dal governo nel tentativo di non far estinguere del tutto il cinema nazionale. Una cifra modesta, anche se comparata ai 600 milioni di costo medio di produzione. Per i produttori lo scoglio è coprire un quinto del budget di ciascun film, così come la legge impone. Il panorama del mercato cinematografico interno, infatti, è talmente depresso che non si recupera quasi nulla. L'unica fonte di approvvigionamento di una certa consistenza è quella della coproduzione con altri paesi europei, spesso sotto l'egida degli organismi comunitari. Di tutto questo si è discusso a Sofia, nel corso di un convegno, organizzato dalla Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica (FIPRESCI), cui hanno partecipato studiosi di una decina di paesi. L'occasione ha consentito di valutare i pochi film realizzati dall'inizio degli anni novanta ad oggi. Un esame da cui è emerso il permanere di una forte passione civile. Film come "Piena Luna Tardiva" (1996), ultima fatica di Eduard Zahariev, morto prima che il film fosse finito, "Dopo la fine del mondo" (1998) di Ivan Nichev e "Wagner" di Andrej Slabakov, mettono al centro del loro discorso la misera vita dei pensionati, la ferocia della nuova criminalità, le misere condizioni di vita degli operai. Un ventaglio di sguardi che, se non chiude gli occhi davanti agli orrori del passato, li spalanca ancor più sulle oscenità del presente. Tutte opere che hanno ricevuto premi ai festival, ma che gli spettatori italiani non hanno potuto valutare. In questo, forse, esiste un tratto comune fra i problemi di un "grande cinema" come il nostro, che produce centro e più film l'anno, e una piccola cinematografia testarda e povera come quella bulgara.

Umberto Rossi