People I Know

Regia: Daniel Algrant; sceneggiatura: Jon Robin Baitz; interpreti: Téa Leoni, Al Pacino, Greg Stebner, Kim Basinger, Sophie Dahl, Mercedes Herrero, Robert Klein, Ivan Martin, Bill Nunn, Ryan O'Neal, Richard Schiff, Peter Van Wagner, Mark Webber; produttori: Kirk D'Amico, Michael Nozik, Al Pacino, Robert Redford, Karen Tenkhoff, Leslie Urdang, Philip von Alvensleben; musica originale: Terence Blanchard; fotografia: Peter Deming; ricareca attori: Ali Farrell; scenografo: Michael Shaw; preparazione set: Andrew Baseman; società di produzione: Myriad Pictures Inc., South Fork Pictures; nazionalità: USA; anno di epizione: 2002; durata: 100 min.

URL: http://us.imdb.com/Title?0274711

People I Know di Daniel Algrant è un film che suscita sensazioni oscillanti fra la nostalgia e l’imbarazzo. La struttura narrativa del film sembra quella di certe opere indimenticabili in bianco e nero della fine degli anni quaranta, sul genere di Tutti gli uomini del Re di Robert Rossen o L’ultima minaccia (1949) di Robert Wise. Testi segnati da una forte carica sociale e da un vigoroso spirito polemico contro le ingiustizie. Questo è il lato nostalgico, ma subito dopo arriva l’imbarazzo per una struttura narrativa povera, una sceneggiatura zoppicante, un raccontare greve. La storia è quella di un anziano addetto stampa di solide radici democratiche che sta organizzando una festa per raccogliere fondi a favore della lotta contro l’espulsione d’alcuni immigrati clandestini nigeriani. Di colpo gli piomba addosso l’incarico di togliere dai guai il suo maggiore cliente, un attore premio oscar con un debole per le ragazze e le sostanze proibite. La star gli chiede di tirare fuori di galera e far sparire un’attricetta che si è portato ad un droga – party e che è stata arrestata. Lui esegue l’ordine, ma la ragazza, che ha filmato di nascosto i partecipanti al festino, è uccisa e a lui rimane in tasca la microcamera con le brucianti immagini. Inizia una corsa in cui si mobilitano manigoldi del sottobosco VIP, politici di primo piano, demagoghi di colore, maggiorenti della comunità ebraica. E’ un’alleanza mortale che finirà per schiacciarlo. Il regista guarda alla New York di Ralph Giuliani e della sua teoria della “tolleranza zero” come ad un inferno in cui non ci sono buoni o cattivi, ma solo vittime e aguzzini. E’ uno sguardo disperato, quasi anarchico che, se bolla l’ipocrisia dei conservatori, non risparmia la corruzione e l’opportunismo dei democratici e dei leader di colore. Il modo di filmare, purtroppo, è più quello di un telefilm che non di un film, ma la materia che riversa sullo schermo è incandescente. Come dire che il livello del racconto non è pari all’importanza degli argomenti che affronta. Da segnare la straordinaria interpretazione di Al Pacino, che è anche fra i produttori del film.

 
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