Shaft

Regia: John Singleton; soggetto da un racconto di Ernest Tidyman; sceneggiatura: John Singleton, Shane Salerno, Richard Price; interpreti: Samuel L. Jackson, Vanessa L. Williams, Jeffrey Wright, Christian Bale, Busta Rhymes Jr, Dan Hedaya, Toni Collette, Richard Roundtree, Ruben Santiago-Hudson, Josef Sommer, Lynne Thigpen, Philip Bosco Sr.; Pat Hingle, Bradford Lee Tergesen, Daniel von Bargen, 'Coqui' Taveras, Sonja Sohn, Peter McRobbie, Zach Grenier, Richard Cocchiaro, Ron Castellano, Freddie Ricks, Sixto Ramos, Andre Royo, Richard Barboza, Mekhi Phifer, Gano Grills, Gordon Parks; produttori: Paul Hall, Steve Nicolaides, Mark Roybal, Scott Rudin, Adam Schroeder, John Singleton, Eric Steel; musica: David Arnold R. Kelly, Isaac Hayes; fotografia: Donald E. Thorin; montaggio: John Bloom, Antonia Van Drimmelen; ricerca attori: Ilene Starger; scenografo:  Patrizia von Brandenstein; direttore artistico Dennis Bradford; allestimento set: George DeTitta Jr.; costumi: Ruth E. Carter; trucco: Allan A. Apone, Samuel L. Jackson, Don Kozma, Bernadette Mazur, Robert L. Stevenson regista della seconda unità: Julie A. Bloom; nazionalità Germania - USA, anno di produzione: 2000; durata: 99 min.

URL: http://us.imdb.com/Title?0162650
URL: http://www.shaft-themovie.com/
TRAILER

All’inizio degli anni settanta, Hollywood, che ha sempre le antenne ben vigili quando si tratta di cogliere i movimenti che si stanno addensando nella struttura sociale, varò due storie imperniate sul poliziotto di colore John Shaft ed entrambi diretti da Gordon Parks: "Shaft, il detective" (1971) e "Shaft colpisce ancora" (1972). Ne nacque una serie di film, firmati di solito da registi di colore, dedicati a storie di malavita e interpretati quasi per intero da attori afroamericani. In linea di massima non era una novità poiché esistevano da tempo produzioni rivolte alle platee di colore e indicate con disprezzo con l’appellativo “all negros”. La novità era l’uscita di questi film dal ghetto in cui erano sempre stati collocati e la loro inclusione nelle proposte per le vaste platee. Alla base di quest’inversione di tendenza c’era l’affermazione di nuove sensibilità sociali, la rottura di vecchie discriminazioni e, soprattutto, la nascita di una classe media afroamericana dotata di forti possibilità di spesa. Come dire l’intrusione di un nuovo pubblico entro quello tradizionalmente bianco e di medio ceto. Ad oltre trenta anni di distanza, Shaft ritorna sugli schermi grazie alla regia di un attore - autore, John Singleton, che si era fatto notare esordendo, nel 1991, con un pregevole ritratto della vita violenta delle periferie in cui vive quasi esclusivamente gente di colore: "Boyz N the Hood". Il nuovo "Shaft" è frutto sia dell’affermata forza, anche commerciale, del pubblico non bianco, sia del cinema poliziesco e violento che tanto piace a certa produzione americana. Il poliziotto che, infrangendo ogni regola e violando sistematicamente la legge, riesce ad assicurare alla giustizia il giovane ricco e supermo che ha ammazzato un ragazzo di colore per odio razziale, è impregnata sino al midollo d’individualismo, disprezzo per gli ordinamenti sociali, ottusa fiducia nella giustizia individuale, come mostra il finale. Lo stile è, come il solito, quello dei videoclip o, se si preferisce, degli spot pubblicitari: montaggio forsennato, dittatura dei primi piani, cascata d’immagini in dettaglio. Il ritmo funziona abbastanza, anche se non mancano incongruenze e cadute di tono, ma ciò che disturba è un’idea della società come un immondo verminaio in cui si può solo impugnare la pistola e farsi giustizia da soli. Siamo in pieno Far West cinematografico.

 
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