Sotto corte marziale (Hart's War)

Ragia: Gregory Hoblit; soggetto: John Katzenbach; sceneggiatura: Billy Ray, Terry George; interpreti: Bruce Willis, Colin Farrell, Terrence Dashon Howard, Cole Hauser, Marcel Iures, Linus Roache, Vicellous Reon Shannon, Maury Sterling, Sam Jaeger, Scott Michael Campbell, Rory Cochrane, Sebastian Tillinger, Rick Ravanello; produttori: Stephen J. Eads, David Foster, Wolfgang Glattes, Patricia Graf, Gregory Hoblit, David Ladd, Arnold Rifkin; musica: Rachel Portman; fotografia: Alar Kivilo; montaggio: David Rosenbloom; casting: Deborah Aquila; scenografo: Patrick Cassidy; costume: Elisabetta Beraldo; nazionalità USA; anno di edizione: 2002; durata: 125mn.

URL: http://us.imdb.com/Title?0251114
URL: http://www.mgm.com/hartswar/
TRAILER

Questo film di Gregory Hoblit, anche se nasce da un racconto di John Katzenbach (“Maledetta estate”, “Facile da uccidere”, “La giusta causa”, “Il giorno del ricatto”, “Il carnefice”, “Il cinquantunesimo stato”), ha due punti di riferimento cinematografici ben precisi: “Stalag 17” (1953) di Billy Wilder e “La grande fuga” (1963) di John Sturges. Due punti di riferimento e una gran differenza: laddove i due vecchi film mescolavano abilmente tensione, ironia, favola e lezione morale, Gregory Hoblit va sul pesante con la tragedia e il melodramma patriottardo. Venendo a mancare molti ingredienti l’opera perde spessore e si rivela una pesante messa in scena avventurosa e un po’ truce. Nell’inverno del 1944, pochi mesi prima della disfatta nazista, un giovane tenente, fatto prigioniero dai nazisti, capita in un campo di concentramento in cui due colonnelli, un tedesco e un americano, di scambiano battute e si sfidano quasi fossero sul campo di golf. L’ufficiale statunitense sta organizzando una complessa messa in scena. Un aviere nero è messo sotto processo con l'accusa di aver ucciso un altro prigioniero che, in realtà, è stato ammazzato del colonnello perché spia dei carcerieri hitleriani. Il tutto per mascherare un tentativo di fuga, orchestrato per sabotare una fabbrica di munizioni. Le incongruenze si sprecano, i personaggi sono da barzelletta, l’unica cosa positiva è il ricordo che nell’esercito americano vigeva un razzismo non meno feroce di quello che serpeggiava tra i civili. Una prova? La marina americana ha ammesso i marinai di colore a ruoli operativi solo negli anni cinquanta. Prima, il massimo a cui potevano aspirare era lavare piatti e stirare uniformi. Umberto Rossi

 
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