Bestiario Italiano  - I cani del gas

Testo e regia di Marco Paolini, Muciche e testi composti ed eseguiti da Daniela Basso, Silvia Busato, Stefano Olivan, Lorenzo Pignattari, Francesco Sansalone, Cristina Vetrone, allestimento scene, luci e fonica Alberto Artuso, Marco Busetto, Gable Nalesso.

La prima impressione suscitata da "Bestiario Italiano - I cani del Gas"è che si tratti di una proposta assai lontana dal momento più alto nel lavoro di questo autore - attore: "Il racconto del Vajont" (1995). Tuttavia, ad osservare con più attenzione, si scopre che la distanza è più apparente che reale. Se il testo che rivendicava la grande tragedia friulana conteneva una polemica politica e una sferzante ironia assenti nella nuova opera, questa mancanza non nasconde un dato comune alle due proposte: il rimpianto per la perdita di un patrimonio culturale assurdamente dilapidato nel nome della corsa al denaro e alla falsa modernità. Una doglianza che è anche indignazione morale, rivendicazione etica. Non a caso in due momenti dello spettacolo risuona, nella lingua della supposta globalizzazione, un'orgogliosa rivendicazione: "This is my land", questa è la mia terra. Oggi lo sguardo dell'attore - regista, affiancato da tre ottimi musicisti e da altrettante splendide voci femminili, si allarga all'intera penisola. Lo fa esaltando la poesia di Campana, Caproni, Zanzotto, Marin, Di Giacomo, Butitta per raccogliere le rovine di una ricchezza fondata sui dialetti e sulla lingua quale risorsa inalienabile. Calmo, tenace, rotto ad ogni evento, Paolini rimane saldo a guardia di ciò che resta, proprio come i cani che gironzolano in certe stazioni di gas per auto, sempre più rare, ma ancora vitali. Sono proprio questi animali, solidi e antichi, a rappresentare al meglio la posizione culturale di Paolini. In loro c'è l'orgoglio e l'esaltazione di radici contadine oggi derise nel nome di una modernizzazione che s'incarna in una teoria infinita di capannoni che cancellano il paesaggio, industrie che inquinano, megadiscariche puzzolenti che hanno trasformano il paese in un unico immenso deposito d'immondizia. L'uomo di teatro, davanti al quadro di questo disastro, trasforma la poesia in un'arma di sopravvivenza, cerca aiuto dalle Alpi alla Sicilia e le trova nei poeti che più sono rimasti legati alle origini profonde della loro terra. In questa prospettiva la rivendicazione dello forza dei diletti, le mille lingue che rendono vivo il paese, si trasforma in qualche cosa di molto lontano dalla perorazione localistica o, peggio, dalla petizione separatista. Diventa, al contrario, in una ridotta in cui trincerarsi per resistere all'avanzata di un nuovo che non innova, ma semplicemente cancella ciò che c'era prima.

 

Globale