Il malato immaginario

Testo: Jean-Baptiste Poquelin, detto Molière (1622 - 1673); traduzione e adattamento: Tullio Kezich, Alessandra Levatesi; regia: Gugliemo Ferro; scene: Stefano Pace; costumi: Santuzza Calì; luci: Sergio Rossi; musiche: Bruno Coli; interpreti: Massimo Dapporto, Susanna Marcomeni, Sebastiano Tringali, Riccardo Peroni, Alberto Caramel, Gigi Palla, Elena D'Anna, Marco Matiuzzo, Deniz Ozdogan, Monica Barbato.

  URL: http://www.cultura.marche.it/CMDirector.aspx?id=2079

Per molti che s’interessano al teatro Il malato immaginario è il simbolo dell’opera e della morte di Jean-Baptiste Poquelin, detto Molière. Fu, infatti, alla quarta rappresentazione di quest’opera, il 17 febbraio 1673, che l’autore – attore si accasciò sul palcoscenico, stremato dalla fase terminale di un male che, da lì a poche ore lo avrebbe portato nella tomba. Curioso destino, per un testo che si burlava e polemizzava con la classe medica, accusata di non servire a nulla. Con il tempo, i registi che hanno messo in scena questo copione lo hanno fatto inseguendo vari motivi: dalla ricostruzione storica, alla riflessione sulla precarietà dell’esistenza, allo sberleffo farsesco di fronte alla morte. Guglielmo Ferro propone un’edizione il cui filo rosso punta su due elementi: il comico e il teatro nel teatro, qui assunto come spettacolo di burattini. Su una piattaforma rettangolare, lievemente rialzata rispetto al palcoscenico, Massimo Dapporto, nei panni d’Argante, spinge su gli aspetti più notevolmente farseschi, dialoga con medici che sembrano usciti dal teatro dei pupi, per finire con una scena in cui i suoi interlocutori sono vere marionette. Mentre lui rimane sempre nella zona alta, gli altri personaggi realistici, ad iniziate dalla serva Tonina (Susanna Marcomeni), si muovono liberamente in tutte le zone del palcoscenico. Il ricco borghese che crede di essere afflitto da tutte le malattie del mondo e, per questo, si fa imbrogliare da una schiera di medici cialtroni, non esce mai da questo spazio, ai cui bordi si affaccia timoroso. Andrà oltre solo nel momento finale in cui - presa coscienza dell’inutilità di qualsiasi ostacolo alla lenta, inesorabile marcia della nera falciatrice – scende sul palcoscenico vero e proprio, a significare un ritorno alla realtà, la fine di una farsa e l’inizio di un dramma consapevolmente vissuto. È una bell’intuizione che rende piacevole e interessante uno spettacolo che, prima vista, potrebbe sembrare di pura routine, ma che, invece, mette in campo una finezza e di un gusto tutt’altro che banali.

 
Valutazione: 1 2 3 4 5