Lo Zio

Testo: Franco Branciaroli; regia: Claudio Longhi; interpreti: Franco Branciaroli, Ivana Monti, Debora Caprioglio, Lino Guanciale, scene: Giacomo Andrico; costumi: Gianluca Sbicca, Simone Valsecchi; luci: Iuraj Saleri.

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Argentina, ambiente dei nazisti rifugiatisi qui dopo la sconfitta del nazismo. Un alto gerarca, responsabile della morte di migliaia d’ebrei, vive nel terrore di essere scoperto dai Servizi Segreti israeliani. Per meglio proteggersi ha fatto credere al figlio, pesantemente coinvolto nella repressione scatenata dalla giunta militare golpista, di essere suo zio. Il giovane ha sposato una donna da cui attende un figlio e che si scoprirà essere un’agente del Mossad. Il vecchio nazista la uccide e convince il figlio – nipote che è stato lui ad ammazzarla, mentre era preda della droga. Lo Zio è un dramma cupo scritto e interpretato da Franco Branciaroli e messo in scena Claudio Longhi con pesantezza di tocco e d’arredi. La recitazione è volutamente greve, i toni ieratici, i testi pensosamente filosofici. La ragione di tanta gravità dovrebbe essere una riflessione semireligiosa sull’Anticristo e la fede. In realtà appare difficile, alla resa dei conti, intendere bene il discorso, sia dal punto di vista stilistico, sia da quello filosofico. Rimane un senso di pesantezza per la grevità di parole e gesti che mal si conciliano con una forma di teatro modernamente intesa.

 
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